Zanzotto e la Grande Guerra
Gian Mario Villalta: Der Lyriker Andrea Zanzotto und der Erste Weltkrieg.
Der Beitrag in italienischer Sprache wird im Herbst in den Romanischen Studien erscheinen.
Auszug aus dem Text von Gian Mario Villalta:
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Andrea Zanzotto: i luoghi veri e i veri fantasmi della Grande Guerra
L’8 Settembre 1943 il soldato semplice Andrea Zanzotto è in libera uscita. Non ha ancora compiuto i ventidue anni e si trova ad Ascoli Piceno, dove è ritornato – dopo una breve assegnazione provvisoria nella vicina Chieti – per assumere l’incarico di scritturale in un deposito militare. Sta passeggiando per le vie della cittadina e recita tra sé, con il libro in mano, il X dei Sonetti a Orfeo di R. M. Rilke:
Euch, die ihr nie mein Gefühl verließt,
grüß ich, antikische Sarkophage …
ripetendolo nella traduzione italiana di Giaime Pintor, quando sente levarsi un urlo e poi un avvicendarsi di grida che portano la notizia dell’armistizio.
Questo è il ricordo che Andrea Zanzotto mi ha affidato, mentre raccoglievo le notizie biografiche per la Cronologia da anteporre alle opere raccolte nel Meridiano Mondadori Le poesie e prose scelte. Non verificabile, l’episodio ha il sigillo di un richiamo simbolico ulteriore, tale da far pensare a una sua rielaborazione. Nel ricordo, successivo di molti anni, infatti, il giovane militare è in raccoglimento dentro la poesia (l’immagine è analoga al ‘totus in illis’ di Orazio, Sermones I, 9, che verrà ripresa in uno dei suoi ultimi libri, Sovrimpressioni del 2001). La notizia della “resa” dell’Italia alle Forze Alleate, che comporta la rottura dei patti di guerra con la Germania, sconvolge il poeta e lo scaglia in una confusione di allarmi che urge e disorienta. Ma soprattutto accade che la voce della poesia, una delle più alte e pure d’Europa, è lacerata da un urlo senza parole. Seguono altre grida anonime. Generano smarrimento, il vuoto davanti a sé.
Da quel momento, per il poeta di Pieve di Soligo nulla sarà più come prima.
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Andrea Zanzotto è arrivato ad Ascoli Piceno, una piccola città delle Marche nell’Italia centrale, ai primi di febbraio del ’43, per frequentare il Corso Allievi Ufficiali di Complemento. È stato chiamato con la leva del ’22, dopo un anno di “rivedibilità” per insufficienza toracica e asma allergica (è nato il 10 ottobre 1921), durante il quale ha studiato e ha scritto, ma non ha voluto arruolarsi come volontario a causa delle tragiche vicende affrontate dai suoi coetanei in Grecia e in Russia.
Sappiamo che si è laureato il 30 ottobre dell’anno precedente e ha già un manipolo di poesie proprie che vorrebbe proporre per la stampa. Ma con l’avanzare della primavera ritorna prepotente l’allergia. Viene esonerato dal servizio e declassato. Svanita l’ipotesi del Corso Ufficiali, come soldato semplice sarà trasferito più volte. Fino a quando non gli verrà affidato un compito da scritturale con nuova assegnazione in Ascoli Piceno, gli tocca il servizio non proprio appagante di piantone.
L’isolamento, la malattia, la condizione in cui versa il suo Paese, contribuiscono a creare uno stato di forte alterazione nervosa. Per questo giovane brillante letterato e poeta, la vicenda del Fascismo è stata, come per molti altri della sua generazione, intessuta di esperienze personali ambigue. All’esempio del padre accusato di antifascismo e costretto alla marginalità sociale, si è contrapposta negli anni la vitalità culturale delle organizzazioni giovanili universitarie, dove il confine tra l’adesione al regime e la possibilità di agire criticamente dall’interno contro di esso si fa a volte indecidibile. La dittatura ha prodotto un sistema culturale gratificante, gli studi appassionano, pare addirittura che si possano esprimere malumori e critiche, e inoltre proporre la lettura di autori non certo amati dalla gerarchia. Ad Ascoli Piceno, invece, in pochi mesi tutto diventa più chiaro e doloroso. Mai Zanzotto si era allontanato dalla sua Pieve di Soligo per così tanto tempo (e mai più lo farà in seguito, fino alla morte avvenuta nel 2011). Ad Ascoli Piceno sono scritte, in quei mesi, le prime poesie desolate e ansiose che andranno a comporre la sua opera inaugurale, Dietro il paesaggio (1951).
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Non sappiamo che cosa è accaduto davvero nella mente del giovane poeta. Possiamo soltanto registrare uno stato progressivo di debilitazione nervosa.
Fino a quel momento la Patria è stata per Andrea Zanzotto il nucleo formativo di un formidabile monumento retorico. È nato vicino al Piave, il Fiume Sacro della riscossa e della vittoria del 1918. Nel corso di tutta la sua infanzia e dell’adolescenza, assisterà alla costruzione progressiva del mito eroico, attraverso ossari e cippi, monumenti e lapidi, discorsi scalpellati sul marmo e bandiere spiegate. Il Fascismo ha trasformato il vissuto di fame, fuga e umiliazione dell’interminabile periodo della guerra di posizione attestata in quei luoghi, in un fulgido esempio di amor patrio, di tenacia morale e di sacrificio per i più alti valori nazionali. Un’infanzia e un’adolescenza, ha raccontato Zanzotto, di continuo intessuta di commemorazioni, brani da imparare a memoria e compiti scolastici, dove la geografia della sua esistenza viene rimodellata in una sempre più pressante topografia eroica di “sangue versato” e di “memoria indelebile”. Dopo che è stato classificato come “meno atto” alla prima visita di leva, e dopo aver visto la condizione in cui si trova quell’esercito propagandato come potente e destinato a grandi imprese, uno sguardo diverso, più personale e lucido, lo porta a nutrire considerazioni chiaramente avverse alla dittatura e alle sue conseguenze belliche. Ma la Patria e il Dovere sono stati ben edificati dentro di lui, fino a quel grido che, l’8 settembre del ’43, verrà a lacerare l’ultimo, unico luogo “proprio” che possiede ancora nelle parole della poesia.
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Dopo l’8 settembre, come in un incubo ben sceneggiato, Andrea Zanzotto condivide la sorte di molti che, come lui, tra consegnarsi ai Tedeschi e aderire alla nuova Repubblica Sociale di Mussolini, non trovano altra scelta che quella di gettare la divisa, travestirsi, nascondersi, cercare la via di casa e vivere in clandestinità, fino a quando sarà il momento di aderire all’azione delle Brigate partigiane che nelle Prealpi intorno a Pieve di Soligo si stanno organizzando. L’incubo è quello di essere catturati e deportati. La perfetta sceneggiatura comporta tutte le ipotesi della falsa informazione, della delazione, dell’inermità e della speranza che nasce dalla disperazione.
Nella primavera successiva il quadro della situazione diventa più chiaro. E più terribile: il Quartier del Piave, che ha in Pieve di Soligo il suo luogo baricentrico, vede i giovani e male equipaggiati drappelli partigiani esposti alla caccia delle truppe tedesche di occupazione, ai fascisti della Repubblica Sociale assetati di vendetta, alla condizione precaria e imprevedibile della popolazione civile.
Ai proclami e ai ricatti seguono i rastrellamenti.
Solo nel 1954 uscirà sul “Popolo di Milano” uno scritto dove si narra direttamente l’esperienza di violenza e terrore di quei giorni, con il titolo Gli inermi. Centro ideale del racconto è la morte di un amico, Gino Della Bortola, protagonista di un’epica rovesciata dove l’individuo è vittima della storia e del precipizio in cui la storia ha inghiottito i valori umani. Ripubblicato con qualche lieve modifica nel 1964, nella raccolta di racconti e prose Sull’Altopiano, lo scritto cambierà titolo, che diventerà 1944: FAIER, dove ancora una volta un grido, con la scorretta grafia che riproduce in modo approssimativo il suono della parola tedesca Feuer in lettere italiane, mima l’esplosione della violenza.
Andrea Zanzotto parla di questo periodo della sua vita e delle sue conseguenze per la propria poesia come dell’“esperienza del terrore”. Le certezze sui valori umani, trasmesse attraverso le forme e i contenuti della cultura, subiscono un vero e proprio bombardamento, un “incendio”, una devastazione, dopo la quale la stessa lingua umana dovrà essere osservata e interrogata con nuovi occhi e nuove domande.
Non è un caso isolato, al contrario: l’esperienza e la conoscenza degli orrori perpetrati dall’uomo negli ultimi anni del conflitto lascerà ferite profonde in tutta Europa. Sono ferite dalle quali sorge un abissale stupore: come è stato possibile che una cultura così profonda, ricca e raffinata abbia potuto produrre tutto ciò? E, per Zanzotto come per molti altri, al vertice di questa cultura svettava la poesia.
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Nota
Sessant’anni di scrittura (poesie, racconti, interventi teroici e critici) di uno dei più significativi poeti del secondo Novecento europeo hanno prodotto una grande quantità di materiali d’interpretazione e commento, che in anni più prossimi è diventata enorme. Rinuncio quindi a ogni tentativo di bibliografia, se pure con dispiacere, in particolare quando penso a tutti i giovani e giovanissimi che hano mostrato interesse e intelligenza per il poeta di Pieve di Soligo. Credo però che sia ancora un buono strumento per accostarsi in modo non occasionale all’opera di Andrea Zanzotto il volume Le poesie e prose scelte uscito nella collana I Meridiani di Mondadori nel 1999, a cura di Stefano dal Bianco e Gian Mario Villalta, con due ampie e valide prefazioni firmate da Stefano Agosti e Fernando Bandini. Nel 2011 è uscito, inoltre, a cura di Stefano Dal Bianco, il ponderoso volume Andrea Zanzotto, Tutte le poesie, Oscar Mondadori, che raccoglie, come indica il titolo, l’intera produzione poetica dell’autore fino a quel momento edita. A cura di Gian Mario Villalta, segnalo inoltre la raccolta degli Scritti sulla letteratura, Oscar Mondadori 2001, che illustra l’opera critica e gli spunti di poetica e di teoria letteraria del poeta. Moltissimi gli interventi successivi, usciti in volume e in rivista, di cui si potrà trovare riscontro nelle bibliografie aggiornate per la cura di Niva Lorenzini e Francesco Carbognin in occasione di momenti convegnistici realizzati in Italia e all’estero in anni più recenti.
Abbildung: Medaglia commemorativa della guerra italo-austriaca 1915 – 18. Collezione privata.